Pensieri sul seminario Scienza e femminismo - Agnese Seranis

Maddalena Gasparini

 

Care amiche,

il seminario di sabato mi è molto piaciuto. Era un po’ che mancavo (di solito sabato sono a Silvera) e forse anche per questo ho avuto modo di apprezzare la preparazione, l’impegno, l’originalità dell’iniziativa.

Mi è piaciuto il legame che avete  proposto fra scienza e femminismo da un lato e agnese seranis e la sua biografia e la sua produzione letteraria dall’altro, impensabile senza il femminismo.

Un paio di cose  hanno suscitato dei pensieri e ve li racconto.

Il ricorso alla figura dell’immigrato per dire delle donne nella scienza mi ha ricordato l’affermazione di anna del bo boffino, che definiva terra straniera il mondo del lavoro per le donne. Oggi le donne si muovono nel mondo del lavoro certo con fatica e incertezza ma non più da “straniere”.  Libri, incontri, analisi ed esperienza ci dicono che molto resta da fare (per superare discriminazioni, mancati riconoscimenti etc) ma anche che il lavoro per le donne non è (più) solo strumento dell’autonomia economica ma parte della propria identità collettiva. Il bel racconto illustrato di sara (spero molto che foto e intervento vadano a costituire un breve opuscolo) si chiude non a caso con foto di donne (fabiola gianotti, elena cattaneo, samantha cristofoletti) che ci dicono che il tempo dei “romiti nei panni di rita hayworth”  (cito a memoria)  è finito. Le donne al lavoro non hanno bisogno di esibire un corpo pensato per il desiderio maschile, e nemmeno di camuffarsi per essere accettate (non sempre accolte, certo). Ricordo un’intervista a una medica laureatasi negli anni 50 che raccontava come le fosse proibito dal primario presentarsi in reparto con le unghie laccate e di qualche compagna di corso che si presentava discinta agli esami. Stante la stupidità maschile di fronte alla seduzione, non mancherà chi oggi ricorre agli stessi strumenti, ma almeno hanno maggior competenza “contrattuale”.

E’ accaduto (o sta accadendo) qualcosa di simile  con il mondo della scienza? Davvero si fatica a esserci col nostro corpo di donne?

Mi ha colpito, nella ricostruzione di liliana (che avevo anticipato leggendo il dossier sul sito della LUD) la carriera scientifico-lavorativa di agnese (specchiata almeno in parte nel racconto di henriette). Gli interrogativi sulla scienza e sul suo essere donna di scienza non le hanno impedito di studiare, sperimentare, pubblicare, dirigere;   segno che il “tormento” non raffreddava la passione conoscitiva, la capacità organizzativa e l’autorevolezza.

La fatica di essere insieme oggetto e soggetto della conoscenza certo è più facile da risolvere nei settori scientifici legati –diciamo così- alla vita. Medicina, biologia, ecologia e le varie declinazioni facilitano il superamento di questa dicotomia: l’empatia che nasce di fronte alla persona malata, all’animale da proteggere, l’inevitabile rispecchiamento (che mi ha indotto a lasciare qualche mese fa l’attività clinica, per “fatica”)  non sono automatici e richiedono una scelta consapevole. Ma che va appunto nella direzione del superamento della dicotomia. Non solo io (soggetto) “so”, anche l’altra (oggetto) “sa”,di sé.

Ma per chi studia fisica? permettetemi una neuro-divagazione. Mentre studiavo qualche anno fa di stato vegetativo e dunque della “natura” della coscienza, ho letto il famoso saggio di Nagel (what is it like to be a bat? Com’è essere un pipistrello?) che introduce a quella che poi verrà chiamata “coscienza fenomenica” una coscienza che hanno anche gli animali: un pipistrello sa benissimo (è cosciente di) com’è essere un pipistrello. Negli umani la coscienza fenomenica è tuttavia associata a quella che Ned Block chiamerà  “coscienza dell’accesso” cioè la capacità di rappresentare a se stesse il contenuto della coscienza e usarlo come premessa al ragionamento e all’azione.  Perché questa divagazione? dismessi i panni di rita hayworth la coscienza del nostro corpo di donna (della sua differenza e di tutto quello che si porta dietro) ci accompagna in ogni luogo, anche nel mondo della scienza. E mi piace credere che quando agnese ha chiesto di morire guardando il cielo, non fosse animata da sentimenti new age, ma dalla consapevolezza che la bellezza del cielo stellato nasce nella nostra coscienza non meno della consapevolezza del nostro essere donne.

 

un abbraccio riconoscente

maddalena

22 febbraio, 2015